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Il tacco di Socrates: quel Lazio – Juve del ’77, Giordano nel mito…

Il ricordo di un Lazio – Juventus del passato, iconica rappresentazione di un calcio che non esiste più, se non nei ricordi…

Di Sandro Di Loreto

Lazio – Juventus, quante ne ho viste… In quasi tutte la Lazio ha lottato, in molte ha raccolto meno del meritato, ma tra quelle in cui ha vinto una mi è rimasta nel cuore.

Era il 1977, inizio ottobre, caldo come Roma sa fare. Esce nelle sale Guerre Stellari, Moser diventa Campione del Mondo, muoiono Elvis Presley, Maria Callas e Charlie Chaplin. Dal primo gennaio Carosello non c’è più, nelle strade comincia a muoversi la protesta.

Era un altro tempo, era un altro calcio, era un altro Sandro.

Avevo 13 anni, ma già avevo conosciuto la tristezza per la morte di Maestrelli e Re Cecconi e la “fuga” di Chinaglia. Il numero nove era ora sulle spalle di Giordano, il mio nuovo idolo insieme al “vecchio” e per me eterno Vincenzino D’Amico.

Con mamma, papà, mio fratello e Marcello un mio amico juventino, aspettavo ansioso in curva nord l’inizio della partita. La nord ancora non era la nostra casa. Gli Eagles e i Viking cantavano in curva sud, per questo ricordo le grida della tifoseria juventina raggruppata vicino alla Tevere. Cantavano “Campioni! Campioni!” Li guardavo con sfida, ma non pensavo di vivere quello che ho vissuto. Pronti via, e saetta di Garlaschelli all’incrocio dei pali.

Cantavamo forte noi Laziali, cantavano arroganti gli Juventini. Non ricordo molto della partita, ma indelebili nella mente ci sono ancora oggi che ho 57 anni i bagliori di due esplosioni che mi spazzarono via come un uragano. Sono le perle di Giordano, un concentrato di potenza, eleganza, tecnica, come forse non ho più visto con quella cristallina purezza. Ricordo come fosse ora il pallone venirmi incontro mentre gonfia la rete sul primo bolide, e poi mentre accarezza il vento prima di lasciarsi andare in fondo alla rete sul secondo elegante danzare di Bruno gol.

Guardo Marcello vicino a me e gli strizzo l’occhio. Lui ricambia e capisce… siamo amici. Guardo intorno lo stadio felice, papà con la sua immancabile sigaretta e mamma addobbata con le nostre bandiere che guarda preoccupata mio fratello mentre urla di gioia. Cantavamo forte noi laziali felici, non cantavano più gli juventini.

Ricordo la fine della gara e la corsa alla macchina per eludere il traffico, ma soprattutto per accendere la radio e ascoltare Domenica Sport con le interviste e poi guardare 90° minuto, poi il secondo tempo della gara sulla RAI, poi Domenica Sprint e poi la Domenica Sportiva.

Erano brandelli di calcio, ma mi bastavano. Erano altri tempi, era un altro calcio… era un altro Sandro.

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