In sette giorni la Lazio ha visto sgretolarsi sotto i piedi sogni e certezze. Si respira delusione nell’aria e si pongono domande.
di Giovanni Calviello
Sono bastati sette giorni, da sabato 4 a sabato 11 luglio, per rientrare in quel tritacarne a cui molti laziali sono abituati. Che, anzi, sembra quasi vitale per il loro stesso modo di essere tifosi.
Errori ne sono stati commessi e molti. Da una cattiva preparazione ai molti infortuni (resta un mistero come faccia uno ad infortunarsi pur restando fermo). Il fatto stesso che certi automatismi acquisiti nel tempo sono stati smarriti nel giro di tre mesi. Cosa che, invece, non è successa ad altri. Basta vedere come giocano Atalanta, Sassuolo o il Bologna. Ma tant’è. Quella Lazio, che aspirava al titolo (che probabilmente non avrebbe mai vinto comunque, considerando gli episodi favorevoli che ora stanno premiando la Juve) non c’è più.
Molti giocatori sono sulle gambe. Acerbi, Milinkovic, Luis Alberto, ma anche Immobile,
poco lucido sotto porta, Strakosha, da film horror sulle palle alte. Lo stellone favorevole sembra aver abbandonato i biancocelesti.
Sta bene. Ci sarà tempo per chi di dovere per interrogarsi. Adesso è il momento di stringerci intorno a questi ragazzi per conquistare quei quattro punti che mancano per qualificarsi in Champions. Poi arriverà il momento delle riflessioni e di alcune scelte da fare. Poi. Ora conta solo la Lazio. E basta.