
La Lazio perde, male, contro la Salernitana che torna in Campania con tre punti ottenuti con il minimo sforzo.
Tre tiri, tre gol, tre punti a casa. Una sorte di scioglilingua che ha permesso alla squadra di Davide Nicola di tornare a Salerno con una vittoria importante, storica, e con tre gol segnati in trasferta, che non capitava dalla stagione 1999.
Un altro protagonista del match, non decisivo ai fini del risultato, è l’arbitro Manganiello, con il giallo dato a Milinkovic-Savic (diffidato) che impedisce al serbo di disputare il derby contro la Roma domenica. Un cartellino inventato per un semplice contrasto di gioco. Il fischietto non ha avuto dubbi nell’estrarre un cartellino senza arte e né parte.
La decisione sbagliata – come ha confermato l’ex arbitro Luca Marelli a DAZN nel post partita – di Manganiello è però solo l’ultimo caso che dimostra l’ormai conclamata mediocrità della classe arbitrale italiana. Il giallo a Milinkovic è solo la punta di un iceberg, in un sistema che fa acqua da tutte le parti. I fischietti italiani, in ogni gara di Serie A, si sono dimostrati – quasi sempre – impreparati, non all’altezza della situazione, ma soprattutto presuntuosi. Basta andare indietro di qualche mese e analizzare il gol annullato alla Juventus contro la Salernitana, con Candreva che tiene in gioco tutti, ma con le immagini al Var non arrivate, oppure – in ordine recente il gol convalidato ieri sera al Milan con Messias che spinge il difensore del Torino prima di segnare. In tutti questi disastri, dai vertici dell’AIA non è mai arrivato un mea culpa, ma sempre una spiegazione grottesca e fuori da ogni logica. Inoltre, nel campionato di Serie A – per minuti di gioco – il tempo effettivo è molto al di sotto degli standard degli altri campionati. In Italia al massimo si gioca per 5 minuti di seguito, mentre in Premier League e Bundesliga si arriva anche a 12-15. Questo penalizza le squadre del nostro campionato che in Europa pagano la velocità di gioco delle avversarie abituate, loro si, a giocare davvero a calcio.
Il discorso arbitri è complesso da gestire e non di facile soluzione, visto che l’AIA invece di cercare rimedio alle varie situazioni è intenta a percorrere una strada senza uscita e nel caso della Lazio il capo degli arbitri Rocchi (già abbastanza discutibile nella sua carriera da direttore di gara) e Trentalange (Presidente AIA) hanno intrapreso una battaglia personale contro il mister della Lazio Sarri, reo – giustamente – di aver fatto presente in più occasioni i torti subiti dalla sua squadra. Chi esce sconfitto da questa situazione è soprattutto il campionato di Serie A, con le società che meriterebbero arbitraggi di categoria e idonei, non di professionisti improvvisati, che nel caso di Torino-Lazio, prima nella gara, usano frasi di “minaccia” verso i calciatori (in questo caso biancocelesti) rei di aver protestato troppo – e anche a ben ragione – nella partita precedente.
A tutto c’è un limite: la netta sensazione – che in queste ore pervade gran parte del tifo nazionale – è di guardare sempre lo stesso film – qualcuno spiegherà (mai) come nella gara Lecce-Juventus sia Miretti che Di Francesco non siano stati espulsi per due falli molto brutti – con gli stessi pessimi attori pronti in modo del tutto involontario, grazie alla loro scarsa preparazione, a “indirizzare” un campionato verso le posizioni che contano, non soltanto in termini di classifica, ma soprattutto in quelli economici.
Chi grida a gran voce le dimissioni di Rocchi resterà deluso. L’ex fischietto toscano resterà al suo posto, un atto di coscienza non è previsto e con questa classe arbitrale altri errori sono dietro la porta.
