
Ospitiamo – e ringraziamo per il suo contributo – Giuseppe Perrelli, capo dei servizi sportivi di Radio Capital.
Facile fare i cholisti con i calciatori degli altri. La parafrasi del modo di dire romano – splendido, greve, irriferibile – ben si accompagna a questi giorni scanditi dai sogni dei tifosi laziali (ma anche di quelli interisti) che, dopo aver visto Atletico Madrid-Juventus, sognano Simeone sulla panchina della loro squadra, di cui è stato da giocatore cuore e anima.
Merito, (anche) di una partita, quell’ottavo di finale di Champions, che ha travolto un imbarazzante luogo comune degli ultimi anni: «Simeone gioca male e fa giocare male gli avversari». Verissima la seconda parte, clamorosamente falsa la prima: Simeone ha combinato alla perfezione un non possesso feroce e asfissiante con un possesso rapido ma qualitativo, il più possibile verticale e mai fine a se stesso.
Un’alchimia che si fa magica anche (o soprattutto?) grazie a chi mette in pratica, sul prato verde, le idee del tecnico argentino: impenetrabile la coppia centrale difensiva uruguagia Godin-Gimenez; talentuoso ma efficace il lavoro a centrocampo di Koke e Saul, che in quasi tutte le altre squadre del mondo farebbe il fantasista; letale il gioco d’attacco di Griezmann e Diego Costa (e/o Morata).
Ed eccoci al punto: se togli Godin e metti Helander, ne vieni fuori l’assist involontario a Dybala e la vittoria della Juventus in casa del Bologna, che pure domenica scorsa l’ha affrontata con cholismo massimo.
Siete sicuri che con Simeone in panchina…
Lo stesso mostrato, il 27 gennaio, dalla Lazio, immeritatamente sconfitta all’Olimpico dai campioni d’Italia. Ecco, la Lazio. Quanta ferocia nella semifinale d’andata di Coppa Italia col Milan, la squadra italiana più in forma, in questo momento. Quanto spirito di sacrificio nella partita in casa del Genoa, giocata in un’emergenza che più emergenza non si può. Partite, queste tre, terminate con due sconfitte e un pareggio.
E via, tutti a parlare di quel cambio sbagliato e di quel modulo diventato un’ossessione. Che, per carità, ci può anche stare, perché alzi la mano chi non si è chiesto se non si possa abbandonare una difesa a tre che mai ha garantito l’imperforabilità della porta di Strakosha.
Ma qualcuno crede sinceramente che con Simeone in panchina i risultati – questi e quelli delle partite prima e dopo – sarebbero stati diversi? Chi risponde con un “sì” convinto, si ricordi quel greve modo di dire romano. Troppo facile, con Godin&Griezmann&gli altri. Troppo facile.

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Ma è laziale?