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Come il ritardo infrastrutturale ha reso le nostre squadre meno competitive in Europa

Un’analisi sul ritardo infrastrutturale dell’Italia in tema di impianti sportivi e sulle conseguenze per le squadre nostrane.

Di Fabrizio Parascani

Il nostro paese, allo stato attuale, ha ancora un grande ritardo in merito alla costruzione degli stadi di proprietà.
Analizzando la situazione solo quattro squadre in Serie A hanno costruito un nuovo stadio o ammodernato un vecchio impianto. La Juventus è stata la prima. Poi l’Udinese, il Sassuolo e l’Atalanta, che l’anno scorso ha completato la ristrutturazione del vetusto Atleti Azzurri d’Italia, tramutandolo nel nuovo Gewiss Stadium, più accogliente e confortevole, oltre che conforme alle normative Uefa.

Eccezioni, che dimostrano come la situazione sia piuttosto drammatica. Sulle venti squadre del massimo campionato italiano sono ancora sedici le società di calcio che disputano le proprie gare casalinghe in stadi obsoleti e con scarsa visibilità, come per esempio l’Olimpico di Roma o il Maradona di Napoli, al quale nel 2019 è stata data una sistemata per ospitare le Universiadi. Poco rispetto a quello di cui avrebbe bisogno l’ex San Paolo, come tante altre strutture.

Come risolvere questo problema? Sicuramente incidono tanti fattori: eccessiva burocrazia, iter troppo lunghi e scarsa sinergia tra le squadre di calcio e le istituzioni locali e nazionali. Due esempi che confermano questa tesi sono lo stadio della Roma, rimasto solo sulla carta, ma anche la situazione della città di Milano, dove Milan e Inter discutono da anni sulla costruzione di nuovi impianti di proprietà. Ad oggi, in entrambe le metropoli, la prima pietra è ancora lontana dalla posa.

Nel caso della società giallorossa da oltre un decennio si dice “Famo ‘sto stadio”, ma le problematiche relative all’individuazione di un’area idonea, facilmente raggiungibile con mezzi pubblici e privati sono state parecchie. L’area di Tor di Valle, individuata dalla precedente proprietà presentava inoltre complicazioni geologiche, essendo una zona golenale. In più vi era incompatibilità col piano regolatore oltre che vincoli ambientali difficilmente aggirabili.

I Friedkin, nuovi proprietari del club, sperano ora di portare avanti il progetto. Si parla di Pietralata, di Tor Vergata, ma per ora si è fatto ancora poco.

Anche in casa Lazio qualcosa comincia a muoversi dopo anni di immobilismo e progetti rimasti su carta. Il presidente Lotito sembra aver deciso – dopo anni di muro sull’argomento – di valutare la possibilità di ristrutturare il Flaminio, per farlo tornare ad essere la casa dei biancocelesti, come tanto tempo fa. Ma i discorsi non hanno fatto in tempo ad iniziare che già sono sorte innumerevoli questioni.

I vincoli da rispettare, in questo caso, sono anche di natura storica e archeologica. Sotto la superficie dell’intero quartiere si trova infatti una necropoli etrusca. Il che rende problematico ipotizzare scavi invasivi per stravolgere completamente le fondamenta stesse della struttura. La società biancoceleste, dal canto suo, ha comunque avviato uno studio di fattibilità per valutare se vi possano essere dei margini di manovra per agire sul Flaminio, provando ad ammodernarlo, recuperando un edificio di fatto storico nel cuore della Capitale.

In generale, questi ritardi hanno come conseguenza una perdita di competitività e appetibilità delle nostre squadre in ambito Uefa. Negli ultimi undici anni solo l’Inter ha vinto la Champions League nel maggio 2010. Per l’Europa League dobbiamo risalire al maggio 1999 quando la vinse il Parma di Malesani e allora si chiamava ancora Coppa Uefa.

Se questa tendenza non sarà invertita al più presto, investendo su nuove infrastrutture, rendendo lo stadio un asset delle società per farne crescere i ricavi e renderle più competitive, sarà difficile tenere il passo delle big europee. C’è bisogno di agire al più presto, per far ritornare la nostra Serie A agli splendori degli anni novanta, quando i giocatori più forti giocavano nelle nostra lega e le nostre squadre facevano incetta di Coppe internazionali.

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