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La nuova sfida della Lazio: vincere senza la formidabile spinta della sua gente…

Lazio - Rennes, tifosi

La Serie A riparte senza tifosi, per la Lazio è una sfida di maturità.

di Chiara Hujdur

L’emergenza sanitaria da Coronavirus ha messo il calcio di fronte ad una nuova sfida. Per la prima volta l’inarrestabile macchina ha dovuto arretrare al cospetto di un nemico più grande di lei e ora, per limitare i danni, è costretta a scenderci a patti. Si è scoperta la fragilità di un sistema che ha sempre corso minuto per minuto ad alta velocità e davanti al primo vero ostacolo ha pericolosamente sbandato e in parte ceduto.

Messo di fronte al virus, il sistema calcio si è fatto trovare inerme, non reattivo; obbligato a reinventarsi per proseguire la folle volata allo scopo di evitare che il guaio assumesse proporzioni più grandi di quelle che aveva già raggiunto. Lo fa anche a costo di mettere in scena uno spettacolo che rischia di non essere all’altezza, certamente insolito. Infatti, almeno fino a quando non si saprà di più sulla riapertura, comunque parziale e comunque a Luglio, degli stadi (ipotesi che si paventa da qualche giorno e su cui anche il Presidente della FIGC Gravina si è espresso aprendo alla possibilità) dovremo abituarci ad assistere a un calcio diverso, quello delle partite giocate a porte chiuse.

La presenza del pubblico è sempre stata una componente scontata del gioco, insita nella natura e nell’ideazione stessa della competizione sportiva moderna. Per la prima volta dobbiamo fare i conti con la sua mancanza, che inevitabilmente snatura lo spettacolo a cui assisteremo.

Per la verità un assaggio di tutto ciò lo abbiamo avuto dalla Bundesliga, che già da qualche settimana ha dato nuovamente il via al campionato. La cosa che per prima risalta è il clima di surrealtà che domina la scena: lo stadio, luogo per eccellenza dell’assembramento festoso e caotico, avvolto in un silenzio spettrale, che lascia spazio solo all’eco dei contrasti e delle voci dei giocatori in campo. Più che una partita di calcio sembra di vedere una seduta di allenamento a porte chiuse. Così, in quest’ambientazione quasi irreale, la componente psicologica finisce per giocare un ruolo fondamentale.

Studi dicono che senza pubblico la concentrazione dei giocatori durante una partita si riduce notevolmente. Effettivamente quello che si percepisce è proprio questo: cala lo spirito agonistico perché cala il focus sull’obiettivo. Tutto ciò per mancanza della spinta, della pressione, che riesce a trasmettere in massima parte il pubblico e che ti permette di rimanere concentrato per un tempo prolungato. E’ l’adrenalina, quello stato fisico e mentale di “stare sulle spine”, misto tra ansia di dover ottimizzare la prestazione e voglia di spingersi oltre le proprie forze, che tiene alta la soglia dell’attenzione e acuisce i riflessi. E’ un meccanismo naturale di reazione allo stimolo che i giocatori di calcio provano quando sono sostenuti e trascinati per l’intera partita dai tifosi.
Ebbene, il destino ha voluto che la nostra Lazio fronteggiasse tale nuova sfida per l’intero mondo del calcio nel suo momento di maggiore splendore.

A dodici giornate dalla fine, a un punto di distacco dal primo posto, non ci sarà l’arma in più, o comunque non ci sarà quell’armata travolgente delle grandi occasioni, che avrebbe accompagnato sicuramente la squadra nella volata finale (nel caso in cui dovessero decidere di riaprire gli stadi permettendo una ridotta affluenza). Fino allo stop di inizio marzo, la tifoseria aveva realmente incarnato il dodicesimo uomo in campo: fondamentale in tutta la corsa, trascinatrice nelle partite chiave contro Juventus, Napoli, Inter.

Allora, quello per lo Scudetto, non è più solo un duello contro la Juventus, diventa per prima cosa una sfida contro se stessi: il banco di prova decisivo per valutare la maturità di un gruppo che deve confermare di meritare il vertice sapendo che, voltandosi, non potrà contare sulla sua guida alle spalle.

Come un bambino che si stacca dall’ala protettrice del genitore e si avvia da solo a scoprire cosa c’è oltre il calore rassicurante di casa, così è arrivato per la Lazio il momento di affrontare il rush finale in autonomia. L’obiettivo è lì, ma rischia di non essere nemmeno sufficiente replicare quanto di buono è stato fatto fino a ora. Ci vuole ancora qualcosa in più: carattere, forza mentale da vendere. Davanti c’è un muro che da 8 anni è insormontabile e non è disposto affatto a cedere, quello della Juventus. Tra l’altro la corazzata bianconera, da questa mini-rivoluzione, esce rafforzata: posto che la rinuncia al pubblico allinea tutte le squadre, la Vecchia Signora non avrà l’impegno simultaneo del campionato e della Champions League, potendosi concentrare, ora, esclusivamente sullo Scudetto e, una volta archiviato questo, sulla Coppa dei campioni. A parità di partite giocate, le fatiche degli impegni ravvicinati potrebbero incidere più sulla squadra biancoceleste, che non ha in panchina i ricambi che può vantare la Juventus.

D’altronde nulla è mai stato facile per la Lazio: la nostra storia ci ha messo spesso e volentieri di fronte a sfide tanto affascinanti quanto estenuanti. Questa ha tutte le carte in regola per essere una delle più belle. Se è vero poi che esiste un karma…

 

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