
Lazio, dopo il ko di San Siro nell’ambiente biancoceleste è partita la caccia al colpevole….e Mica mi sta bene
A cura di Micaela Monterosso
Altalena: gioco che consiste nel porsi sopra una tavola sospesa a due funi imprimendole un moto pendolare, ovvero nel mettersi alle estremità di una tavola in bilico e farla poi alzare e abbassare ritmicamente. In senso figurato: alterna vicenda, sorte instabile, anche, stato di perplessità, di dubbio di fronte a scelte da fare e decisioni da prendere, o instabilità della volontà, dell’umore.
L’altalena a cui siamo sottoposti, costantemente, inizia a nausearmi. Lo dico senza cattiveria. L’ho detto ieri sera, in un tweet a caldo (caldissimo) subito dopo la gara. Questo salire e scendere compulsivamente dal carro – è un’allegoria che mi piace particolarmente, non me ne vogliate – è avvilente. Non si può essere i più forti del mondo sul 2-2 e delle pippe immonde dopo cinque minuti.
Equilibrio: ci vuole equilibrio.
La Lazio perde a Milano per colpa di Inzaghi. Questo è il verdetto unanime dei fanta-allenatori e del web tutto. Potrei chiudere qui l’articolo e dire che sì, va bene, hanno ragione loro. Oppure omologarmi alla massa e lanciarmi in disamine tattiche, sciorinando le motivazioni che hanno portato Inzaghi a sbagliare i cambi, a sostituire Escalante solo perché ammonito (Simo, non sempre il giallo è preludio del rosso… ma con Di Bello, forse sì).
Non voglio fare né l’una né l’altra cosa.
Ho (ri)visto una bella Lazio ieri sera. Una squadra che è andata sotto di due reti, le ha rimontate ed ha rischiato anche di vincerla (eeeehh se non avesse fatto quei cambi). A San Siro, contro il Milan di Pioli, quello dei record. Ho visto l’atteggiamento giusto, la voglia di fare risultato. Non è andata come speravamo, ma non è tutto da buttare via. Anzi, sarò un’ottimista, ma ho la sensazione che se dopo la sosta ci sarà ancora questa fame negli occhi, i sei punti che ci separano dal quarto posto non saranno un problema.
Mi piace la critica, ma mi piace di più l’obiettività. Non mi stancherò mai di dirlo. Inzaghi ha sbagliato i cambi? Sì. Come li ha sbagliati a Bruges e come ne sbaglierà ancora. Succede a chi fa, chi non fa nulla scrive e parla dall’alto del divano. Comodo, eh? (A Coverciano i corsi sono sempre attivi eh? Così, per dire…)
Qualcuno – più di qualcuno – crede davvero che se andasse via Inzaghi arriverebbe Guardiola, Allegri, Klopp. Io ve lo dico, al massimo arriva Ventura. Ballardini se l’è ripreso il Genoa, quindi manco quello. Da una parte, avrei voglia di dire a Simone: “Lassa perde, ma chi te lo fa fa’?”, dall’altra prego che firmi il rinnovo e ricominci a vincere, così – forse – si tacciano di nuovo (su quest’ultima opzione ho dei forti dubbi. Che si tacciano, non che non firmi).
È così, da sempre, sull’altalena. Esaltato quando vinci, affossato quando perdi. Lui è sempre lo stesso Inzaghi. La Lazio è sempre la stessa Lazio e io sono sempre laziale. Quando vince e – forse di più – quando perde. Da bambina ero l’unica laziale in una classe di romanisti. Avevo l’orgoglio (o l’impavidità) di mettere la tuta della Lazio ogni lunedì. Al di là del risultato. Mi sono fatta tre anni di medie con lo zaino della Lazio, nella stessa classe di romanisti. Pensate che mi lasci abbattere da quattro tweet deliranti? Ma anche no.
Smaltita la delusione, ora c’è la sosta. Pochi giorni per ricaricare le batterie e tornare a vincere, recuperando quei due, tre elementi di poco conto (Acerbi, Leiva e Correa) che ieri ci sono mancati. Sperando di rivedere Lulic e qualche rinforzo qua e là. Io a Babbo Natale gliel’ho chiesto ma per ora – sotto l’albero – mi ha lasciato solo due bottiglie di prosecco e un panettone (che manco mi piace).
Posso avere almeno un pandoro?
Buon Natale a tutti e fate i buoni (se potete).
