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Moriremo tutti, ma non oggi però…

La Lazio espugna l’Unipol Domus con una vittoria finalmente convincente, spazzando via musi lunghi e pulsioni autolesioniste. Lo fa grazie a una gara condotta con piglio risoluto e con un ordine tattico discretamente disciplinato.

Dopo una delle settimane più difficili della gestione Sarri, contestato per la prima volte da una parte della tifoseria, il tecnico toscano azzecca la formazione, approfittando anche dello stato di forma di Ciro Immobile che sembrerebbe vivaddio ritrovato, incrociando le dita. Suo è il gol della momentanea tranquillità, il duecentesimo in Serie A, arrivato prima e dopo una serie di verticalizzazioni incisive, non finalizzate solo grazie alle prodezze del portiere e a un pizzico di sfortuna. Decisiva, da questo punto di vista, anche l’attitudine di Danilo Cataldi a servire le punte in profondità, meglio di quanto non abbia imparato a fare il pur positivo Rovella. Anche la difesa è parsa giovarsi del dirottamento di Marusic a destra, dove senza strafare sembra muoversi più a suo agio; e soprattutto dell’innesto di Hysaj, che è stato il vero playmaker della prima parte di gara, con un’intensità apprezzabile non sempre assistita da un’adeguata precisione. Ma sono state le ali a fare la differenza: Isaksen è stato il fautore delle prime due segnature; Anderson, prima di uccidere la partita col tiro che ha determinato il 3-1, è stato protagonista di una serie di strappi sulla sinistra che non sono stati sempre letali solo perché spesso contrastati dal calciatore più bravo del Cagliari, Nandez.

Certo – si dirà: ciò è avvenuto dopo quella contestazione che ha costretto la società ad alzare la voce, i calciatori a responsabilizzarsi e forse il tecnico ad ammorbidire certe sue pretese (il famoso doppio allenamento soppresso dell’antivigilia del match). Occorre però rilevare che il nostro ambiente (il famoso mondo Lazio) sembra troppo spesso incline a infliggersi certi psicodrammi discretamente sproporzionati rispetto alle cagioni. È vero che contro Inter e Atalanta abbiamo giocato due partite di rara bruttezza, ma è anche vero che prima e dopo la squadra era stata capace di vincere 5 partite consecutive, compresa quella delicatissima che aveva determinato l’eliminazione della Roma dalla Coppa Italia. Senza contare che il povero Sarri ha dovuto quest’anno sopperire alla partenza di un giocatore fondamentale per fornire varianti imprevedibili ai suoi ordinati schemi tattici come SMS, sostituito da un giocatore certamente molto intenso come Guendouzi ma più simile per caratteristiche tecniche a un mediano stile Brocchi che al campione serbo. E del calo forse anagrafico di alcuni campioni che avevano brillato fino a sei mesi fa.

Questa vittoria invece, se i bagliori intravisti non si riveleranno ancora dei fuochi fatui, rischia di segnare un discrimine netto tra un prima e un poi, per una serie di motivi difficilmente contestabili: il ritorno di Ciro, la quadratura tattica della squadra, la capacità emotiva e psicologica – tutt’altro che scontata – di risollevarsi da una crisi di gioco e di risultati, e certi altri indizi (come le due sgasate da standing ovation di Daichi Kamada) che ci piacerebbe interpretare come auspici fausti.

Lo scopriremo vivendo, neanche dopo tanto: la partita delle partite (l’ottavo di finale di Champions League contro il Bayern Monaco) è lontana un passo. Intanto per oggi ci accontentiamo di rimandare – noi speriamo ad libitum – l’epicedio che già in troppi avevano cominciato a intonare.

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