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Vincenzo D’Amico e un gruppo di ragazzi

Dal libro ‘Un volo lungo un secolo’ (Novecento editore), il ricordo di Sandro Di Loreto, in onore di Vincenzo D’Amico

Questa notte non è stata una notte normale, perché oggi non sarà un giorno normale. Quando l’arbitro fischierà l’inizio della gara davanti a me ci saranno 90 interminabili minuti durante i quali dovrò lottare, dovrò prendermi sulle spalle tutto il peso della responsabilità, della maturità che forse non ho, ma che oggi dovrò scovare, dentro di me. Davanti agli occhi ho ancora la tristezza impressa sui volti dei miei compagni, dei miei amici, mentre lasciavano lo stadio come se fossero dei delinquenti, nei cellulari della polizia.
Li guardavo e loro mi guardavano. Li stavano portando via ed io cercavo di capire cosa stesse succedendo. Nel calcio che sognavo da bambino, non c’era posto per queste immagini. C’erano goal, vittorie e corse verso la curva.
Ora invece sono qui. Mi guardo intorno e vedo tanti giovani volti, giovani al punto da far sembrare vecchi i miei ventisei anni. Per loro questo è un grande giorno. Giocheranno allo stadio Olimpico, giocheranno con la maglia della Lazio, in serie A.
La maglia della Lazio. La stringo tra le mani e la respiro. L’ho difesa tante volte, con lei ho vinto uno scudetto, per lei ho pianto di gioia e di emozione ed ora la devo difendere.
Il mister mi guarda mentre la indosso, e loro, i ragazzi, mi guardano, quasi di nascosto. Sperano in me, ma non sanno quando io spero in loro e nella loro incoscienza.
Fuori i rumori dello stadio, dentro l’emozione che sale e con lei la paura. Il Catanzaro ha diciotto punti ed è terzultimo, noi ventuno, solo tre di più, una miseria.
Dai Vincenzo, mi ripeto nella testa. In fondo era questo che volevi quando hai deciso di essere calciatore. Volevi essere protagonista ed oggi lo sei più che mai.
Il mister continua a guardarmi, i ragazzi continuano a guardarmi.
– Ok, ora andiamo su, gli facciamo due goal e li mandiamo a casa.
Sorridono ed annuiscono. Anch’io sorrido, ma non sono tanto sicuro che andrà così. Loro però, non lo devono sapere.
Il mister si avvicina, mi da qualche consiglio, io come al solito faccio il burlone, per tranquillizzarlo, per tranquillizzarmi.
Dai Vincenzo, mi ripeto nella testa.
Gli ultimi accorgimenti tattici. Prendo la fascia di capitano e intanto la porta dello spogliatoio si apre.
Li guardo negli occhi mentre mi sfilano davanti, questi ragazzi. Budoni, Perrone, Tassotti, Manzoni, Ferretti, Cenci. Uno ad uno passano la porta e si avvicinano al campo.
Il rumore dei tacchetti sul pavimento spezza il silenzio del sottopassaggio. Fuori c’è lo stadio che ci aspetta e che da me si aspetta tutto.
Fa caldo in quest’ultima domenica di marzo. Il sole illumina il campo e le bandiere che sventolano tutt’intorno.
Loro, i ragazzi, osservano tutto, mentre ingoiano l’emozione che gli si ferma in gola. Il Catanzaro è la accanto a noi. Corriamo verso il centro del campo. Tra poco sarà contro di noi ed avrà con se la forza dell’esperienza e della disperazione.
Dai Vincenzo, continuo a ripetermi.
E’ tutto pronto.
Corrono questi ragazzi, corrono e lottano. Prendo il pallone una dieci, cento volte, faccio uno scatto, un altro, un dribbling. Il tempo passa. Lo stadio è tutto con noi, con me e con quei ragazzi. Il Catanzaro si fa minaccioso. Dobbiamo inventare qualcosa, devo inventare qualcosa, sono io il capitano, sono io quello esperto, sono io Vincenzo D’Amico.
Il tempo passa, il Catanzaro si batte sempre con più vigore. Loro i ragazzi, resistono.
– Attento! Butta via la palla!
Urlo a Perrone mentre tenta un disimpegno.
– Ferretti! Stammi più vicino. Non facciamoci mettere in mezzo!
Il tempo passa e noi soffriamo. Maledizione! Dobbiamo inventare qualcosa, devo inventare qualcosa.
Se chiudiamo il primo tempo in parità prendiamo fiducia e possiamo farcela.
– Dai ragazzi! Non molliamo
La gente intorno canta. Ha capito tutto di questa strana giornata. Ci chiede solo di lottare e noi lottiamo.
Il primo tempo è finito. Meno male. Siamo 0-0 ed è importante non aver preso goal.
I ragazzi sono più sereni. Hanno retto l’impatto, hanno vinto la paura.
Sono stanco, ho corso molto, ma non mollo, non mollo di un metro.
Dai Vincenzo! Continuo a ripetermi.
Il mister si avvicina.
– Come va?
– Va da Dio Mister, va da Dio. Adesso gli facciamo due goal e li mandiamo a casa.
– Davvero?
– Davvero Mister, davvero.
The e massaggi. Una manna dal cielo.
Si ricomincia.
Accidenti come spingono. Sanno che per loro è l’ultima spiaggia.
– Dai ragazzi!
– Attento, non fartelo scappare! Vai sull’anticipo, vai sull’anticipo, così!
Dobbiamo inventare qualcosa, devo inventare qualcosa.
Questo pomeriggio di marzo sembra non passare mai.
– Mister quanto manca?
– Trenta minuti.
Una vita.
– Vincenzo, questi arrivano da tutte le parti.
– Stiamo corti, stiamo corti e non molliamo.
Dobbiamo inventare qualcosa, devo inventare qualcosa.
– Quanto manca?
– Venti minuti.
Troppi porca miseria, troppi.
Il pallone va fuori. Prendo fiato e mi guardo intorno.
Dai Vincenzo!
Eccolo il pallone tra i miei piedi, ecco il momento.
E’ tutto chiaro nella mia testa.
Avanzo palla al piede. Dai Vincenzo!
Si vienimi incontro. Così. Ok il primo è saltato. Dai Vincenzo!
Intorno il rumore sale mentre avanzo verso la porta, lungo la linea di fondo. Questa è la poesia e la magia del calcio. In questo momento non c’è più stanchezza, in questo momento non c’è più paura. Ogni gesto. ogni movimento, ogni pensiero, tutto è maledettamente perfetto. Le gambe rispondono ad ogni mio comando.
Dai Vincenzo! Urlano quei ragazzi, mentre corro e salto un altro avversario. Vedo la porta, c’è uno spiraglio, è difficile, ma c’è uno spiraglio.
Lo stadio urla, il mio cuore urla.
Dai Vincenzo! Mi grido dentro, mentre cerco la forza per tirare in porta quel maledetto pallone.
Non c’è niente di più bello dell’acqua calda della doccia e del clamore dello spogliatoio in festa. Urlano quei ragazzi, per loro è stata la prima grande affermazione.
Il bagnoschiuma ha un buon profumo come quello della vittoria.
I soliti scherzi, le pacche sulle spalle, gli sguardi soddisfatti, gli occhi sorridenti.
Mi stringo nell’accappatoio mentre mi lascio cadere sulla panca. La maglia della Lazio è là, sudata e stropicciata. La prendo tra le mani e sorrido mentre mi urlo dentro dai Vincenzo!

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Ada
Ada
9 mesi fa

Sono molto addolorata della morte di D’Amico un grande Laziale giocatore immenso avercene oggi…riposa in pace guerriero

lamberto
lamberto
9 mesi fa

Un dolore infinito……..con Lui scompare quasi tutto l’attacco di quella meraviglia di Squadra………..è rimasto solo Garlaschelli

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