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Gavillucci: “Gli arbitri devono uscire allo scoperto rivendicando sacrosanti diritti”

L’ex arbitro Claudio Gavillucci in diretta su Radio Radio ha parlato della sua battaglia per la trasparenza nella classe arbitrale.

Domenica scorsa ai microfoni di Radio Radio è intervenuto Claudio Gavillucci. In circa un’ora di intervista, l’ex arbitro, autore di un libro con alcune rivelazioni dal dietro le quinte del mondo dei direttori di gara, ha parlato molto della sua battaglia per la trasparenza nella classe arbitrale.

Tutto è partito dall’episodio di maggio 2018, quando interruppe il match Sampdoria – Napoli per cori discriminatori verso i partenopei. Dopo il clamore per la vicenda, nel giro qualche settimana si è ritrovato messo da parte.

Dopo aver diretto oltre 600 partite nella mia carriera di cui 50 in Serie A, con un sms di tre lapidarie parole e un freddo comunicato stampa dove si motivavano valutazioni tecniche, sono stato dismesso dalla’AIA. Ho ricevuto questo messaggio da Nicola Rizzoli, che  mi anticipava la fine della mia avventura come arbitro. Ho deciso perciò di andare fino infondo attraverso una battaglia legale, che in parte ho anche vinto. E ho sentito la necessità di scrivere e raccontare a tutti la mia vicenda, per i valori che considero fondamentali nello sport”.

Ho raccolto molti documenti, tra cui uno nel quale i vertici dell’AIA giudicavano positivamente la prestazione del collega Orsato nella partita Inter-Juventus del 2018 (tra i tanti episodi molto discussi, il mancato secondo giallo a Pjanic, ndr). Ci tengo a ribadire che tutti i miei colleghi sono persone integerrime, professionisti a 360 gradi. È il sistema a non garantire la giusta trasparenza. C’è troppo divario tra giudici e giudicanti. Gli arbitri devono decidere su partite che valgono milioni di euro senza avere il giusto compenso. Sono tutti con contratto a partita IVA, misto a un CO.CO.CO. annuale. Ogni primo luglio la parte politica deve decidere se rinnovare o meno la  collaborazione.

In questo senso, sostiene Gavillucci, la responsabilità assunta dal giudice di gara nel prendere ogni decisione sul campo lo fa rischiare in proprio.

“Io, come tutti i miei colleghi, ho dovuto lasciare un lavoro per svolgere l’attività di arbitro. Perciò ogni contestazione che mi veniva fatta poteva portare a quello che poi è accaduto, cioè che mi trovassi dalla mattina alla sera a non percepire più il mio stipendio. Le cose cambieranno solo se i miei colleghi avranno loro stessi la forza di uscire allo scoperto e rivendicare i loro diritti sacrosanti come lavoratori“.

Il male più grande è l’autoreferenzialità. La classe arbitrare non ha contatti con l’esterno. Gli arbitri non possono dire quello che pensano. In alcuni paesi, per esempio, il referto è pubblico e disponibile per tutti. In Spagna è così.

Ho letto sui giornali dell’espulsione di Diego Costa e della squalifica per otto giornate comminata dal giudice sportivo, dopo l’acquisizione degli audio VAR. Le parole di Costa a mezzanotte del giorno stesso della partita erano già pubblicate online e disponibili di tutti. Perché non c’è niente da nascondere. Non esistono arbitri a libro paga o arbitri corrotti. Invece il sistema che non garantisce trasparenza genera retro pensieri”.

 

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