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Chi sarebbero le vittime di uno stop al calcio? (puntata 2)

Alle porte della Fase 2, in giorni di forti discussioni sul prossimo futuro del calcio italiano, scopriamo chi sono le persone che rischiano il lavoro.

Portare a termine il campionato o chiudere qui la stagione 2019/20? Questo il dilemma che il mondo del calcio italiano sta affrontando. In entrambi i casi, la scelta avrà conseguenze sulle spalle di chi con l’indotto dell’industria del pallone ci vive. Si può andare avanti, rischiare e convivere con l’emergenza sanitaria oppure ci si può fermare qui e perdere parecchi posti di lavoro.

Chi siano queste persone, che potrebbero ritrovarsi disoccupati o che già lo sono, abbiamo già iniziato a raccontarlo. Hostess, camerieri, staff di sicurezza. In breve, tutto il settore dei servizi connessi all’evento sportivo. E dopo aver raccolto le testimonianze di due steward, oggi parliamo di coloro che operano nell’area ospitalità.

Gli addetti della zona vip

Si tratta per lo più di giovani ragazzi e ragazze, che negli stadi di serie A lavorano nelle zone più esclusive. Vestiti eleganti. Giacca e cravatta per i maschi, tailleur e tacchi per le femmine. Si curano dell’accoglienza e dell’assistenza in sala, nelle aree destinate ai vip, agli ospiti delle società, agli stand degli sponsor e a ogni altro tipo di evento collaterale rispetto alla partita.

All’Olimpico tutto ciò avviene nella pancia della tribuna Monte Mario. Lì lavorano Matteo e Roberto, che ci hanno raccontato quali funzioni hanno e cosa comporta per loro lo stop forzato di questo periodo.

Il primo dei due, poco più che ventenne, ha cominciato di recente questa esperienza lavorativa. Studente nella vita,  quando ci sono le partite per lui significa poter tirar su un po’ di soldi da mettere da parte per togliersi qualche sfizio.

“Quello che guadagno facendo questo lavoro, in genere lo spendo per delle piccole utilità personali o anche per godermi una cena fuori con gli amici. Qualche volta è capitato anche che mi ci comprassi dei libri che mi servivano per gli esami”.

L’altro ragazzo, una decina di anni più grande, lavora come consulente didattico in un ateneo universitario. Dunque, anche per lui si tratta di un impiego secondario, per arrotondare. Quasi tutti i loro colleghi, per la verità sono nella stessa situazione. È una mansione non troppo faticosa, che consente di mettersi in tasca tra i 150 e i 300 euro al mese, a seconda del calendario.

“Lavoriamo a turni e ci chiamano quando ci sono le partite. Pochissimi di noi fanno questo regolarmente, come attività principale. E sono quasi tutte donne. Vengono chiamate dalla società per andare a lavorare in altri eventi oltre lo stadio. Di solito, comunque, agli uomini assegnano più compiti di controllo agli ingressi. Accoglienza e assistenza le fanno quasi sempre le ragazze. Abbiamo dei braccialetti da controllare, ciascuno consente l’accesso a diverse sale, in base al colore. Controlliamo che le persone che accedono siano effettivamente nella lista degli ospiti e che si rechino sugli spalti nel settore corretto”.

Nel loro caso, affermano, un eventuale stop definitivo della stagione non sarebbe un dramma. Ma il venir meno di un introito non fa mai piacere.

“Non sarebbe un problema grave non poter più svolgere questa attività. Ma certamente sono soldi che farebbero molto comodo. In ogni caso, noi già non stiamo lavorando da febbraio. E anche se si riprendesse a porte chiuse è sicuro che non verremmo comunque chiamati. Non ce ne sarebbe motivo”.

Loro però, a differenza di quanto riferito dagli steward nel precedente racconto, hanno già avuto chiare indicazioni dalla loro agenzia interinale circa la possibilità di ricevere dei soldi come forma di sussidio per questi mesi di chiusura forzata. A molti degli addetti alla sicurezza, infatti, non è chiaro che tipo di trattamento potrebbero ricevere. Al contrario, almeno questi ragazzi, sebbene si tratti di cifre non da capogiro, vedranno riconoscersi un supporto economico congruo al loro inquadramento professionale.

“Ci è arrivata una mail con la quale ci hanno detto di compilare alcuni moduli per ricevere comunque una sorta di rimborso per questi mesi che non abbiamo lavorato”, hanno confermato entrambi. E il più grande dei due ha aggiunto: “All’inizio c’era un po’ di spaesamento. Molti, nonostante tutto, non si aspettavano di non poter lavorare più da febbraio in poi. Ora so che ci sono alcuni di noi che non vedono l’ora di ricominciare, per tornare a guadagnare qualcosa”.

 

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