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Roby Facchinetti a SLL: “Vissuti momenti atroci. Lazio? Chi fermerà… la squadra”

Il telefono squilla, dall’altra parte arriva la voce squillante e serena di Roby Facchinetti: “Abbiamo vissuto un dramma, molto peggio di una guerra”.

Impossibile dimenticare mesi difficili, persone scomparse all’improvviso, amici di una vita in difficoltà colpiti da un nemico invisibile e mortale. Roby Facchinetti ha raccontato, in esclusiva ai microfoni di SololaLazio.it, i mesi più bui del Covid-19 nella “sua ” Bergamo, mandando anche un messaggio di speranza a tutto il popolo italiano: “Ce la faremo, né sono sicuro”.

L’Italia, soprattutto la zona del settentrione, è stata colpita in modo assiduo dal Covid-19: sono stati mesi complicati…
“Ci vorrà ancora del tempo, non siamo ancora riusciti a vincere la battaglia, ma adesso siamo più sereni. Ancora non riesco a capacitarmi di ciò che è successo. Abbiamo vissuto un dramma e chi, per fortuna, non è stato colpito in maniera così tremenda dal virus non può capire quello che abbiamo provato sulla nostra pelle. Non c’è una famiglia che non sia stata colpita, molte sono state anche spezzate da questo maledetto virus. Anch’io nel mio nucleo familiare ho avuto sette persone infette, oltre ad amici e conoscenti. Tutto è passato in secondo piano, la paura di non farcela è stata davvero tanta. Alcuni giorni avevo il timore anche nel respirare per paura di contrarre il Covid”.

Quando ha iniziato ad avere paura per quel che stava accadendo?
“I primi giorni di febbraio mi sono concesso una breve vacanza di tre giorni in montagna andando a trovare dei cari amici. Rientro a Bergamo il sabato mattina di corsa, perché la sera prima la città è stata “definita” zona rossa. Parlando con dei miei amici medici e con le persone del pronto soccorso ho capito la gravità della cosa, scoppiata tutta insieme.  In quel famoso venerdì pomeriggio all’ospedale di Bergamo sono arrivati tantissimi casi di gente con difficoltà respiratoria. Il presidio ospedaliero non era assolutamente preparato per intubare decine e decine di persone che arrivano in situazioni davvero gravi, non avevano neanche le mascherine. In quel frangente ho capito che stava accadendo un qualcosa di assolutamente straordinario e molto pericoloso per la salute di tutti. Con il passare dei giorni e delle ore la situazione è sfuggita di mano e in quel momento ho provato davvero tanta paura. Un mio carissimo amico di cinquantatré anni è voltato in cielo in 5 giorni e nel giro di pochi giorni, oltre a lui, ho perso anche due miei cugini al quale ero molto legato. Tante sono le cose che non potrò mai scordare, la sofferenza per la perdita di persone care e l’immagine dei feretri trasportati fuori città dentro i convogli militari”.

Un’immagine devastante che ha scosso tutta la Nazione…
“Ho ancora i brividi ripensando a quelle immagini. Tutto è successo a pochi metri da casa mia. Una foto inaspettata, poi scattata in piena notte che aggiunge ancor di più una nota di terrore e tristezza nelle menti umane. Molte persone, tra le quali anch’io, ci sentivamo sicuri solo stando a casa, perché il dramma che stavamo vivendo era sull’uscio della porta. Una situazione paradossale che non ho mai provato in vita mia. Molte persone hanno salutato i propri cari poco fuori dall’ambulanza e non li hanno più rivisti. Bergamo, in quel periodo, era avvolta in un silenzio spettrale, l’unico suono che si udiva era quello relativo alla sirena della Croce Rossa. Ho un carissimo amico che abita in un paese qui vicino, ogni volta che lo sentivo al telefono in sottofondo sentivo le campane suonare “a morto”, in ogni momento del giorno, anche della sera. Questa cosa mi ha scosso molto”.

Il popolo italiano, tra molteplici difficoltà, è ripartito prendendo in mano la vita cercando di reagire e di sconfiggere il virus. Secondo lei ce la farà?
“Quello che abbiamo vissuto è molto più di una guerra, anche perché il nostro nemico è invisibile perciò molto più difficile da sconfiggere. In tempo di guerra, quando arrivavano gli aerei dei bombardieri, la popolazione si rifugiava dentro i bunker per stare al sicuro, qui non abbiamo armi di difesa. Il Covid non ha risparmiato nessuno: bambini, ragazzi di trent’anni, uomini e donne di cinquanta anni, senza parlare poi delle persone anziane che sono state le più colpite. Nel dopo-guerra siamo ripartiti da zero, però già negli anni cinquanta con il boom economico siamo riusciti a tirarci fuori dalle sabbie mobili. Adesso sicuramente in tante cose siamo molto più avvantaggiati rispetto a prima, ma la situazione economica che stiamo vivendo mi preoccupa molto. Temo che a settembre molte aziende chiuderanno e molte persone di conseguenza perderanno il loro posto di lavoro. Occorre un serio aiuto da parte dello Stato, soprattutto per quelle categorie di persone, un po’ avanti con l’età, che non sono più collocabili nel mondo del lavoro”.

Anche il mondo dello spettacolo sta riscontrando grandi difficoltà…
“Siamo uno dei settori più penalizzati. I primi a chiudere e gli ultimi a riaprire (ride, dr). In molti pensano solo al cantante oppure al gruppo, ma dietro di noi ci sono tante persone che lavorano e che in questo periodo sono rimasti a casa con serie difficoltà economiche. Personalmente ho 50 persone che lavorano per me e sono seriamente preoccupato per le loro sorti. Il nostro mondo è in ginocchio, siamo circa 500 mila famiglie che lavorano con la musica. Il mio ultimo concerto è stato il 12 dicembre, ho rimandato il tour, in programma a maggio, e tutti i ragazzi sono a casa. Sono tutti liberi professionisti che senza lavorare non guadagnano, però hanno spese enormi da affrontare come affitti, mutui e mandare avanti le proprie famiglie. Il ruolo della musica nel nostro Paese è sempre sottovalutato, soprattutto dalle Istituzioni, e questo mi fa male. Siamo la prima Nazione al mondo per artisti e per l’arte, in molti ci invidiano i nostri “geni”. Germania e Francia come Governo hanno un rispetto incredibile per i loro cantanti e gente dello spettacolo, da noi questo non accade. Molti talenti si perdono perché non hanno spazio e spesso sono costretti a cambiare i loro programmi di vita in corso per sopravvivere, questo lo trovo davvero molto ingiusto. Sono molti anni che il nostro mondo è in crisi, a livello discografico non ci sono più i numeri di quindici anni fa, ci sono troppe difficoltà che andrebbero affrontate; non è possibile che una canzone faccia oltre 16 milioni di ascolti o visualizzazioni e il compenso sia di tredici mila euro, anche perché i soldi, ribadisco, non vanno solo al cantante ma c’è un intero mondo lavorativo dietro. In Europa c’è un progetto di legge sui compensi degli artisti, mi auguro che l’Italia sposi questa causa che molte altre Nazioni stanno già attuando”.

Come nasce la sua ultima canzone di “Rinascerai, rinascerò”, dedicata a Bergamo?
“Vedendo l’immagine dei feretri trasportati dai mezzi militari ho sentito il forte bisogno di andare al pianoforte, per sfogarmi con la musica. Non avevo intenzione di scrivere assolutamente niente, volevo soltanto passare un pò di tempo con uno strumento molto importante per me. Iniziando a suonare è uscita fuori una melodia molto bella; chiamai subito Stefano (D’Orazio) e gli chiesi di buttare giù un testo sentendo la musica. In vita mia non ho mai provato tante sensazioni tutte insieme nel comporre una canzone: rabbia, tristezza, delusione, paura, mai e poi mai avrei pensato di poter comporre un qualcosa in una situazione emotiva così difficile. Una volta arrivato il testo abbiamo fatto tutto in cinque giorni. Messo subito in rete, in poche ore, il brano ha raggiunto picchi straordinari in tutto il mondo. C’era bisogno, in un momento difficile, di un messaggio di speranza e sono contento di esserci riuscito. L’altra sera sentendo la canzone durante il minuto di raccoglimento sui campi di calcio, mi sono commosso”.

Secondo lei il calcio ha preso la decisione giusta nel ripartire?
“Assolutamente sì! Il calcio non poteva non ripartire per tanti motivi, certo senza il tifo sugli spalti perde qualcosa, però la decisione presa è stata corretta. Alcuni tifosi, anche dell’Atalanta, erano contrari alla ripartenza, in parte li capisco anche, però finire la Serie A dal mio punto di vista, che è quello di un amante di questo sport, è sempre stata la priorità, una volta che la situazione nel nostro paese a livello sanitario si è in parte assestata”.

Domani arriva la Lazio a Bergamo…
“Sarà una partita spettacolare, i biancocelesti arriveranno molto carichi alla sfida cercando di prendere punti importanti per cullare il sogno scudetto. I ragazzi di Inzaghi sono molto forti; vedremo una partita aperta con un sacco di gol. La cosa che mi piace della Lazio è il senso di appartenenza del gruppo verso la maglia che indossano e verso i rispettivi compagni di squadra. Sono come un branco: se nel branco un componente va in difficoltà arriva immediatamente un suo compagno ad aiutarlo. Questo aspetto non è da sottovalutare, può fare la differenza nel raggiungere un certo tipo di obiettivo. Per quanto riguarda l’Atalanta il sogno è quello di centrare per il secondo anno consecutivo la Champions, regalando ai tifosi una soddisfazione dopo mesi di sofferenze atroci”.

C’è una canzone dei Pooh che può essere paragonata alle due società?
“Chi fermerà la musica (ride, ndr) riadattata con: “Chi fermerà l’Atalanta e la Lazio”. Due squadre che giocano un calcio divertente, per le altre societàsarà molto dura fermare la corsa di queste due rose, che mi auguro possa terminare con l’entrata in Champions della Dea e con… non lo dico per scaramanzia dei biancocelesti (ride, ndr)”.

 

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