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Lazio e Foggia, quel legame indissolubile: da Maestrelli a Signori

Lazio e Foggia sono distanti più di trecento chilometri, ma calcisticamente sono unite da un legame inossidabile soprattutto per i tifosi della Lazio. Articolo a cura del nostro lettore Giovanni Calviello

Un intreccio di scambi a tripla mandata che partono dal Maestro, passando l’anno dopo per Cecco per finire negli anni 90 al trio Zeman, Signori e Rambaudi. La tappa alpina di tutto ciò fu il fatidico Lazio-Foggia del ’74. Persone mai banali, con un vissuto per niente scontato.

Di Maestrelli ne accennai nel precedente articolo: una persona di una umanità e bravura (vincitore di due seminatori d’oro) quasi fuori dal comune, capace di farsi amare ovunque sia stato da Bari a Reggio Calabria, passando ovviamente per Foggia. Dove l’inizio del suo percorso si narra non essere stato facile –  in analogia con quanto si verificò poi a Roma – per via dei malumori creatisi perché la famiglia risiedeva a Bari (tra i due capoluoghi esistono storiche rivalità). Buon giocatore di carte, trascorreva intere estati a Siponto in coppia con il suo fedele amico Fesce, presidente dei rossoneri. Quella simbiosi creò i presupposti per creare un gruppo che giunse terzo nella final four di Coppa Italia del 1969, vincendo diversi derby contro i galletti  e soprattutto riportando il Foggia in A dopo il precedente exploit di Oronzo Pugliese. Aveva vinto contro l’avversario più difficile, lo scetticismo dei tifosi: e chi vive quotidianamente le piazze calcistiche del profondo Sud sa che l’impresa è assai tosta: The least but not the last scoprì giocatori del calibro di Pirazzini, Bigon, Re Cecconi e Saltutti. Queste premesse sono fondamentali per capire perché Antonio Sbardella, un ex arbitro divenuto direttore sportivo, lo volle fortissimamente a Roma.
L’anno successivo al suo arrivo a Roma approda un’altra figura titanica nella storia laziale, Luciano Re Cecconi. Un esuberante ragazzo di Nerviano che a Roma riesce subito a integrarsi anche grazie al fatto che ritrova un compagno di leva, Gigi Martini, con cui comincia a frequentare corsi di paracadutismo. Luciano era figlio del dopoguerra e vive le ristrettezze economiche del periodo unendo la sua passione per il calcio con l’esigenza di dare una mano alla famiglia con altri lavoretti. La svolta arriva prima con la chiamata del Pro Patria grazie a Carletto Regalia, altro uomo Lazio per tanti anni. La stagione seguente, in un crescendo rossiniano, arriva al Foggia della promozione e poi alla Lazio. Della sua tragica scomparsa sappiamo tutto, o forse ancora niente. A lui mi legano emozioni intensissime come il gol da antologia segnato alla Juve nel ’77 che mi vide aggrappato a mio padre in Sud, oppure la visita alla sua tomba nel cimitero di Nerviano quando la Lazio di Fascetti giocò un’amichevole contro il Pro Patria (1987).
Di Lazio-Foggia del ’74 ricordo che con mio padre partimmo da casa alle nove del mattino, una gioia infinita sicuramente la più intensa extra famiglia, un tripudio di bandiere e un mare di gente, tanto che mio padre dovette tenermi, con le sue mani e le sue spalle forti, a “cavacecio” durante tutto l’incontro. Emozioni che ancora adesso mi inumidiscono gli occhi e provocano brividi da pelle d’oca.
Sugli anni 90 mi soffermerò di meno, in quanto più noti. Il segaligno boemo, visto da molti laziali come fumo agli occhi per via dell’incostanza di risultati, arriva a Roma sfiorando la qualificazione UEFA con il Foggia, persa all’ultima giornata per una papera del portiere che lancia Di Canio in gol. L’Imperatore nutriva profonde aspettative su di lui e lui in parte le rispettò, soprattutto nella stagione ’94-’95, arrivando secondo dietro la Juve di Agricola dopo averla sconfitta a Torino 3-0: un orgoglio per chi aveva sempre rimediato mazzate terribili nel capoluogo sabaudo anche nel periodo di Maestrelli. E soprattutto nel volere testardamente quel giovanotto ceco arrivato giovanissimo che si chiamava Pavel Nedved, spina dorsale della Lazio tricolore del 2000 e vincitore di un Pallone d’oro.
Signori, che dire 152 partite e 103 goal, colui che fu incoronato sotto la Nord come 8° Re di Roma, una macchina da reti inesauribile. Un peccato, vista la sua carriera, non essere riuscito a vincere un trofeo oltre l’Intertoto con il Bologna. In quel periodo fu coadiuvato da un altro arrivo rossonero Rambaudi, con il quale costituiva nel periodo pugliese “l’oro di Foggia” insieme a Ciccio Baiano: sicuramente gran parte dei goal romani di Signori furono anche merito di Rambo per i quali Zeman aveva creato un sincronismo perfetto.

In conclusione ogni vero laziale non può non nutrire simpatia per il Foggia, alla quale auguro anzitutto una dirigenza stabile e un pronto ritorno nella serie che gli compete considerato anche l’entusiasmo dei suoi tifosi.

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