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Caicedo, un attore non protagonista da Oscar

Felipe Caicedo

Caicedo: dallo scetticismo generale, all’amore dei tifosi della Lazio. Il viaggio nella sua avventura attraverso le parole di Chiara Hujdur

C’è chi è nato fuoriclasse. E a dir la verità oggi a potersi definire tali sono solo due: Messi e Ronaldo. Come suggerisce la parola stessa “fuoriclasse“, si collocano al di fuori di ogni categoria o parametro di valutazione calcistico umano.

C’è chi, invece, nasce già con un’eccellente predisposizione tecnica al gioco del pallone e aiutandosi con il lavoro e la forza di volontà acquisisce lo status di campione. C’è chi non è campione, ma riesce a prendersi comunque le luci della ribalta con giocate di alta scuola o infiammando il pubblico col suo carisma travolgente. Poi c’è chi non è destinato a prendersi il palcoscenico.

Dietro le quinte del nostro palco, il rettangolo verde, ci sono anche altri attori: calciatori con la valigia in mano che vanno e vengono alla ricerca di chi gli permetta di ritagliarsi un piccolo spazio in scena. Sono attori non protagonisti che faticano ugualmente a luci spente, aspettano silenziosamente il loro turno e quando vengono chiamati in causa fanno la loro parte per lo show permettendo ai protagonisti di strappare la standing ovation. Una storia simile è quella di Felipe Caicedo.

La carriera prima della Lazio

Prima di approdare alla Lazio, Felipe cambia casacca 8 volte in 10 anni: dopo due stagioni al Basilea (2006-2008), viene acquistato nel 2008 dal Manchester City che punta sulle sue prospettive di crescita investendo 7 milioni di euro, per poi girarlo in prestito a Sporting Lisbona e Malaga. Nuovamente a titolo temporaneo viene ceduto al Levante (2010), squadra in cui trova una certa continuità sia a livello di presenze sia a livello realizzativo.

Tuttavia Caicedo è destinato ad essere un giramondo e riparte, nell’estate del 2011, direzione Lokomotiv Mosca, società a cui viene ceduto a titolo definitivo. Qui rimane fino a gennaio 2014, quando decide di provare un’esperienza in Arabia Saudita, all’Al Jazira, che dura, però, solo 6 mesi. Ancora con la valigia in mano, prende un aereo per Barcellona e si accasa all’Espanyol. In 3 stagioni, dal 2014 al 2017, colleziona 93 presenze,mettendo a segno 19 gol e attirando le attenzioni del ds Tare.

2017, l’arrivo nella Capitale

Infatti, nell’agosto del 2017, passa alla Lazio a titolo definitivo per 2,5 milioni di euro. Con un avvertimento però: in rosa già c’è un attaccante, si chiama Immobile. Ciro nella sua prima annata in biancoceleste ha gonfiato la rete per 26 volte ed è chiaro che il suo posto da titolare non si tocca. In poche parole Felipe arriva sapendo già di essere una seconda scelta. Ma poco importa, in fin dei conti lui non ha mai aspirato ad essere l’uomo di copertina.

La prima stagione alla Lazio si apre con la vittoria della Supercoppa Italiana strappata alla Juventus all’ultimo respiro e si chiude con un bottino che ammonta a 6 marcature, ripartite equamente tra Serie A ed Europa League. Però, c’è una macchia associata al suo nome che sembrava indelebile: l’errore a tu per tu con Cordaz a Crotone. Il gol in quell’occasione avrebbe potuto cambiare le sorti di una partita di fondamentale importanza. Vincere significava centrare il match point Champions, rendendo inutile lo scontro diretto contro l’Inter della successiva e ultima giornata di campionato. La partita invece si chiude in pareggio e il resto della storia la conosciamo. Il mezzo pallonetto tentato e fallito da Caicedo pesa sulle sue spalle come un macigno, i tifosi non smettono di rimproverarglielo e lo vorrebbero lontano da Roma.

È in questo momento che la “Pantera”, come viene soprannominato Felipe per la sua stazza imponente, tira fuori gli artigli. E lo fa con eleganza, perché – da buon attore non protagonista, appunto – ha saputo aspettare il suo momento, silenziosamente. Ha affilato gli artigli, preparato l’agguato a fari spenti e graffiato al momento giusto in campo, sulla scena.

Chiude la stagione 2018-2019 con 9 gol, 8 in campionato e 1 in Europa League. È nella seconda metà dell’annata che segna con continuità e il gol nel derby, a marzo, lo riconcilia col popolo biancoceleste. A maggio alza il suo secondo trofeo con la Lazio, la Coppa Italia vinta contro l’Atalanta. In questa competizione alla voce “gol” non figura il suo nome, ma il contributo della Pantera risulta fondamentale in due partite chiave: la prima è Inter-Lazio (quarto di finale), in cui, da subentrato, offre un prezioso assist a Immobile che sblocca il match al primo tempo supplementare. Poi in finale, quando, a pochi secondi dal triplice fischio, allontana col gambone una palla vagante in area di rigore lanciando in corsa Correa che prima semina Freuler e poi fulmina Gollini chiudendo la partita sullo 0-2.

Quello che significa per lui la stagione 2019-2020 è in linea con l’inaspettata favola che sta vivendo la squadra. Se la Lazio si trova a lottare per lo scudetto, una significativa parte del merito va proprio a lui. Mai come quest’anno il centravanti ecuadoriano si è rivelato un vero asso nella manica per Inzaghi, l’uomo a cui affidarsi per cambiare le sorti della partita entrando a gara in corso. Infatti i numeri parlano chiaro: decisivo contro il Sassuolo al 91′ con una zampata degna del suo istinto da Pantera (entrando al 79′ minuto), chiude i conti al 95′ nel 3-1 casalingo contro la Juventus (entrando al 91′), regala al 98′ il gol vittoria contro il Cagliari con un imperioso colpo di testa (entrando all’80’). Contro il Brescia prima procura un rigore a Immobile, poi gli fornisce l’assist dopo un abile lavoro di sponda. Aggiunge al suo bottino altre 3 reti nell’abbuffata di gol contro Sampdoria e Spal e torna a essere decisivo nella partita contro il Parma. Nel frattempo guadagna sempre più spesso la maglia di titolare, dimostrando che le sue caratteristiche possono felicemente convivere con quelle di Immobile.

In realtà tutto questo è anche merito di un allenatore, Simone Inzaghi, che non ha mai smesso di aver fiducia in lui, anche nel momento peggiore vissuto dal giocatore, dopo l’errore di Crotone. Il merito di Caicedo, invece, è quello di non essersi mai abbattuto di fronte alla difficoltà e di aver creduto nella costanza del lavoro, fattori che lo hanno ampiamente ripagato sul campo. Insomma, l’attore non protagonista si è preso il centro del palcoscenico e anche la standing ovation del pubblico.

E ora vuole esagerare, vincendo l’Oscar come migliore attore protagonista in questo affascinante film del campionato che riparte. “Vinciamo lo scudetto!”, aveva urlato nella cena di Natale della Lazio e poi la sera del compleanno di Immobile. Sembrava solo una gag da consumato showman, invece era una straordinaria dichiarazione d’intenti e un messaggio – perfettamente recepito – ai compagni. Il gregario che diventa leader: è la favola di Felipe Caicedo. Merita il lieto fine…

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