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Acerbi: “Giocavo per mio padre. A me non fregava niente. Poi qualcosa è cambiato”

Ragusa su Acerbi: "Francesco è un professionista. Giocherà fino a 45 anni"

Francesco Acerbi ha rilasciato un’intervista a Ultimo Uomo. Ha raccontato la sua vita e la sua carriera attraverso le varie fasi, buie e luminose.

Il portale on line Ultimo Uomo ha intervistato Francesco Acerbi. Nella chiacchierata, il racconto della carriera da calciatore e i passaggi cruciali della sua vita. Tra fasi luminose e altre più buie.

Il centrale della Lazio ha iniziato raccontando dei suoi esordi in serie A. Nella massima serie è arrivato relativamente tardi, a 24 anni. Poi la chiamata del Milan.

“Al Chievo avevo iniziato a giocare a inizio febbraio. Già a metà aprile mi voleva il Milan. Appena l’ho saputo non ho voluto sentire nessun’altra offerta. Volevo solo il Milan, lo tifavo da bambino”.

Il suo rapporto con la professione da calciatore in realtà è stato sempre problematico.

“Io giocavo per mio padre. Ci teneva molto, forse troppo. Sicuramente più di me. Forse a volte puntava talmente tanto su di me che volendo farmi bene arrivava a farmi male. A farmi perdere la passione. Fatto sta che una volta che lui non c’è più stato io non avevo nessuno per cui giocare. Di certo non per me”.

“Non avevo rispetto per me, non avevo rispetto per il mio lavoro, non avevo rispetto per chi mi pagava”.

Serate in giro per locali. Vita sregolata. L’arrivo ai rossoneri è coinciso con il suo momento di vita più sbandato, quando invece avrebbe dovuto sostituire un colosso come Nesta. Troppe pressioni a cui non ha mai dato la giusta importanza.

“La mia idea era che avrebbero dovuto lasciarmi fare tutto come avevo sempre fatto. Mi dicevo Se mi avete preso allora fatemi fare come ho sempre fatto. Come facevo al Chievo, o alla Reggina. Invece non mi lasciavano del tutto libero di fare la mia vita e non mi facevano giocare. E allora di fronte alle difficoltà mollavo”.

Difronte alla malattia però qualcosa è scattato nella testa di Acerbi. È cambiato il suo atteggiamento nei confronti della vita. E nell’intervista ha affermato:

“Il cancro è stato la mia fortuna. Ringrazio il Signore per averlo avuto”

Nella battaglia contro il tumore ha imparato a non arrendersi. Nell’estate del 2014 poi, dopo aver trascorso mesi ad allenarsi con un suo amico, anziché passare serate in giro per Milano Marittima, riscopre il piacere di faticare sul campo.

“Non mi sono mai imposto nulla. In realtà non ho proprio fatto nulla per arrivare alla svolta. È stata la mia testa ad aver fatto tutto”.

Oggi il suo modo di ragionare è totalmente diverso. Non si pone limiti. Non si pone obiettivi. Vuole solo migliorarsi giorno dopo giorno.

“Nella mia testa questo non è il mio punto d’arrivo e l’Acerbi di oggi non è il miglior Acerbi possibile. Se così fosse vorrebbe dire sedersi. Non voglio avere nessun punto d’arrivo. Voglio solo pensare a migliorarmi, a ragionare giorno per giorno. Il mio punto d’arrivo sarà quando smetterò di giocare.”

 

Clicca qui per l’intervista completa.

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