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Lazio, Sarri: “Il calcio deve essere salvato da se stesso e dalle proprie istituzioni”

Lazio, le parole di Mister Sarri in un’intervista rilasciata a RSI Sport.

Maurizio Sarri ha rilasciato un’intervista a RSI Sport, emittente radiotelevisiva di servizio pubblico della Svizzera in lingua italiana. Questa stessa intervista è andata in onda anche a La Domenica Sportiva. Ecco le sue dichiarazioni: “Il calcio è un innamoramento sin da piccolo. La passione nasce dal fatto che è uno sport di squadra, anche se, negli ultimi anni, a livello mediatico viene dato risalto alle individualità. E’ uno sport da organizzare. Giocare su un campo con delle dimensioni ampie e con tanti giocatori necessita di razionalizzare i movimenti dei giocatori. Per me è sempre stata una grandissima passione, anche se mi sono divertito a giocarlo”.

Il calcio è complicato?In realtà è apparentemente semplice per i singoli, ma coordinare 11 giocatori su un terreno non è proprio semplicissimo”.

Meglio la vittoria o lo spettacolo in campo? “La vittoria è sicuramente importante per dare vigore alle idee. Ritengo però che se si ha il piacere di giocare, questo è più appagante e porta di conseguenza anche migliori risultati. Forse non in qualche partita, ma alla lunga si. Ormai per vincere, occorre andare in certe società che hanno giocatori di grandissimo livello. Una volta le differenze economiche tra le squadre di Serie A erano di qualche miliardo (di lire), ora sono di qualche centinaio di milioni (di euro). Questa disuguaglianza economica porta spesso le stesse squadre a vincere”. 

Mourinho dice che chi sa solo di calcio, in realtà non sa nulla di calcio? “Sono d’accordo perché 90 minuti che passi in campo sono una parodia della vita. Ci sono momenti esaltanti, altri più difficili, ma è così anche nella vita”.

Cosa cerca Sarri nella lettura? “Il piacere personale. Ringrazio molto gli insegnanti che ho avuto perché mi hanno permesso di avere dei percorsi diversi da quelli che si fanno normalmente a scuola, perché lì mi annoiavo e allora mi hanno permesso di leggere molte cose che mi piacevano. La lettura è svago, ma anche arricchimento. Serve anche per il mio lavoro perché la facilità di linguaggio che ti può dare può essere incidente anche nella professione”. 

Dostojevskij diceva che la bellezza salverà il mondo. Vale anche per il calcio? “Penso che debba essere salvato da se stesso e dalle proprie istituzioni. Si sta andando verso una strada dove è impossibile proporre la bellezza. Fare 60-70 partite in un anno, comprese le Nazionali, significa non allenarsi più e proporre meno spettacolo. Questa è una fase in cui questo sport è vissuto come un bussiness”. 

Bukowski fa dire a un suo personaggio che non bisogna mai fidarsi di chi va in giro in tuta. Se lo incontrasse, cosa gli direbbe? “Dalle poche foto di lui che ho visto, lui era messo peggio di me, però lo ammiro talmente tanto che gli perdono tutto (ride ndr). Ma, a livello generale, io vedo tante partite della Primavera, in campi improbabili, con gli allenatori vestiti con la divisa sociale. A me scappa dal ridere. Facendo un lavoro da campo, non vedo perché non si possa rimanere in tuta. Quando lavoravo nella finanza, andavo in giacca e cravatta. Sul fatto che conti di più l’apparenza, è che il mondo sta andando in questa direzione, ma è ridicolo”.

Nel fumetto di Manfalda, un personaggio dice che i soldi non fanno la felicità però ci assomigliano tanto. Cosa ne pensa? I soldi aiutano, ma la felicità è un’altra cosa. Le cifre astronomiche nel calcio sono immorali, come nel mondo attuale. Se un attore prende 30 milioni per un film è immorale però poi i guadagni lo giustificano. Lo ritengo ingiusto, ma fa parte del mondo attuale”.

Il suo lavoro precedente lo ha aiutato a fare l’allenatore? Io dico sempre che se i manager che vedo nel calcio lavorassero in un’azienda normale, sarebbero licenziati dopo pochi mesi. Quindi aver fatto parte di un altro mondo dove devi farti largo, ti aiuta sicuramente”. 

Non bisogna spegnere il bambino in ogni calciatore. Come si fa? “Io cerco sempre di innescare un modo di giocare a calcio che ti porti a toccare spesso la palla perché quel contatto è il motivo per cui noi tutti scegliamo di giocare a calcio. E’ un rapporto eterno che da il senso del divertimento”.

Cosa ha pensato quando il “Sarrismo” è entrato nella Treccani? Se tutti avevano perso la testa (ride ndr)”. 

Lei ama il ciclismo. Cosa sceglie tra finale di Champions e la Parigi-Roubaix? La seconda che hai detto. Tutta la vita. Il ciclismo è uno sport vero, anche se pure lì, pur rimanendo uno sport individuale, si sta aprendo al lavoro di squadra, che arriva a contare di più delle individualità. Ma è uno sport duro, grande fatica, occorre una passione veramente feroce, a differenza del calcio. Ho grandissimo rispetto per chi pratica questo sport, e vederlo mi dà grande soddisfazione”.

Lei è mai soddisfatto di quello che fa la sua squadra? “Guarda, ultimamente abbiamo vinto 4-0 in trasferta (a Firenze) e sono andato a letto inferocito. Penso che sia giusto così. Se ti dai un obiettivo facilmente raggiungibile, ti accontenti velocemente. Ma l’obbiettivo deve essere “impossibile”, anzi un’utopia. Solo così ti senti che devi migliorare tutti i giorni”. 

Nel calcio si passa velocemente da eroi a scemi. E’ colpa della stampa, dei tifosi o della cultura in generale? “La cultura italiana è particolare. Qui si fa più il tifo contro che a favore. In Inghilterra no. In Italia non siamo messi ancora benissimo”.

In questo senso l’allenatore è un educatore? “A questi livelli è difficile esserlo perché si ha a che fare, in realtà, con azienda col fatturato milionario, ma a livello giovanile si può essere d’accordo su questo. Bisogna comunque far passare dei valori”.

La soddisfazione più grande in carriera? “In realtà non c’è un episodio in particolare. L’errore che spesso fa la gente è abbinare la ‘mediaticità’ dell’evento all’evento stesso. Non sempre questo equivale alle emozioni di chi ha vissuto quell’evento”. 

Dicono che lei è ‘giochista’, integralista e rivoluzionario. Chi è Maurizio Sarri? “Sono uno che cerca tutti i giorni di migliorarsi. Io ho giocato con tutti i moduli, non sono integralista. Se mi chiede una definizione, direi che sono trasformista perché adatto le mie idee ai giocatori che ho a disposizione”.

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